Sentenza C. Appello di Roma, sez. lavoro, n. 4949 del 17/01/2023

E’ nullo, per indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto, ex art. 1346 C.C., il patto di prova con il lavoratore se non risultano determinate in specifico le mansioni cui è addetto e sulle quali deve essere valutato ai fini della prosecuzione del rapporto di lavoro. E’ insufficiente a tali fini il rinvio del patto al profilo professionale indicato dal CCNL di settore, se, poi, in concreto, le mansioni non risultano qui dettagliate e la qualifica professionale risulta “muta” rispetto ai compiti cui il lavoratore è assegnato.
La Corte di Appello di Roma, con questa sentenza, dichiarando nullo il patto di prova tra lavoratore e datore di lavoro per la mancata determinazione e/o determinabilità del suo oggetto, ovvero delle mansioni assegnate al lavoratore, dichiara illegittimo il licenziamento a questi irrogato per “mancato superamento del periodo di prova”. La mancata determinazione e/o determinabilità delle mansioni, non consente, infatti, né al datore di lavoro di contestare al lavoratore la loro esecuzione, né al Giudice la successiva verifica ed il licenziamento che ha base giuridica sul patto di prova nullo è illegittimo.
Il caso
Una lavoratrice era stata assunta in prova con contratto a tempo determinato, inquadrata nel V livello ex art. 113 del CCNL Terziario della Distribuzione e Servizi con il profilo professionale di “addetta ai negozi e/o filiali di esposizione”.
Durante il periodo di prova, riceveva lettera di licenziamento per “mancato superamento della prova” che impugnava perché ne fosse dichiarata l’illegittimità a seguito della nullità del patto di prova ex art. 1346 C.C. per mancata determinazione delle mansioni con l’effetto di proseguire nel rapporto di lavoro fino alla scadenza oltre riconoscimento delle mensilità retributive dalla data del licenziamento.
Il Giudizio di primo e secondo grado
Il Tribunale di Roma, dichiarava valido il patto di prova e legittimo il licenziamento poiché le mansioni cui la lavoratrice era stata addetta risultavano sufficientemente determinate in quanto individuabili per rinvio del patto all’art. 113 del CCNL che, nel classificare 28 profili professionali del V livello, prevede al n. 6 quello di “addetto ai negozi o filiali di esposizione” assegnato alla ricorrente.
La Corte di Appello di Roma, cui la lavoratrice ricorreva in secondo grado, invece, decide in riforma a suo favore, dichiarando la nullità del patto di prova e l’illegittimità del licenziamento che vi insiste poiché la determinatezza e/o determinabilità delle mansioni deve essere valutata in concreto, cioè di fatto, non potendosi dire sufficiente ai fini del soddisfacimento del suddetto requisito il rinvio alla qualifica professionale del CCNL di settore, se questa risulta “muta”, perché generica e nulla dicente rispetto al contenuto delle mansioni del lavoratore. Il profilo professionale di “addetto ai negozi o filiali di esposizione”, a differenza degli altri 27 profili professionali indicati è assolutamente generico poiché non permette di evincere la tipologia di mansioni da espletare riferite alla qualifica.
La motivazione della sentenza della Corte di Appello di Roma
La Corte di Appello, facendo ordine in fatto e diritto su quanto dedotto, specie in primo grado, in modo anche un po’ confuso dal difensore della lavoratrice, esamina in via preliminare le questioni di diritto necessarie alla risoluzione del caso, per poi, decidere, in modo conforme alla giurisprudenza in ordine al requisito di determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto mansioni da soddisfare a pena di nullità del patto di prova.
In primo luogo, la lavoratrice aveva ricevuto il licenziamento il cinquantaquattresimo giorno di prova, ovvero durante il periodo di prova che l’art. 116 del CCNL di settore prevede di 60 gg.
Si applica al caso, dunque, l’art. 2096 C.C. “Assunzione in prova” che disciplina, tra l’altro, il recesso libero di entrambe le parti dal patto di prova senza preavviso (ad nutum) e non l’art. 2119
C.C. “Recesso per giusta causa” che, dopo il superamento del periodo di prova, disciplina il recesso di entrambe le parti solo se per giusta causa ovvero per causa che non consenta la prosecuzione del rapporto, ed in ipotesi di contratto a tempo determinato, senza preavviso.
Il licenziamento (recesso) irrogato alla lavoratrice è, dunque, da valutarsi con riferimento all’art. 2096 C.C., e, dunque al patto di prova.
In secondo luogo, il patto di prova (ed il contratto di lavoro a tempo determinato), riporta solo la qualifica generica di “addetto a negozi o filiali di esposizione” senza alcuna specifica ulteriore, dovendosi, quindi, rinviare per la determinazione delle mansioni all’art. 113 del CCNL che, tuttavia, nulla dice in merito ai compiti attribuiti a questo profilo professionale.
Tra i 28 profili professionali del V livello riportati nel suddetto articolo, infatti, alcuni sono “parlanti” in ordine alle mansioni da svolgere quali quello del “dattilografo”, dell’”archivista”, dell’”addetto al centralino telefonico” o del “conducente di vetture”. Altri, invece, quale l“addetto ai negozi o filiali di esposizione”, assegnato alla lavoratrice ricorrente, risultano generici, “muti” riguardo le mansioni associate al profilo, non potendosi dedurre le attività cui effettivamente il lavoratore venga addetto, quale siano i compiti da svolgere sui quali debba essere provato e valutato dal datore di lavoro.
Nel caso della lavoratrice, la determinazione e/o determinabilità delle mansioni non risulta né in specifico nel patto (o nel contratto), né è ricavabile dal profilo professionale definito nell’art. 113 del CCNL di settore che, non dettagliando il contenuto preciso delle mansioni corrispondenti alla qualifica, non consente al datore di lavoro di contestare al lavoratore il mancato superamento della prova.
Il patto di prova è, dunque, nullo per indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto/mansione ex art. 1346 C.C. e, per comunicazione, illegittimo è il licenziamento che vi insiste perché motivato sul mancato superamento di una prova svolta nella pratica, ma, di fatto, non contestabile dal datore né verificabile dal Giudice in quanto avente ad oggetto l’esecuzione da parte del lavoratore di una mansione non meglio specificata.
La lavoratrice ha, quindi, diritto alla prosecuzione del rapporto del contratto a tempo determinato fino a scadenza con riconoscimento delle retribuzioni nel frattempo maturate dalla data del licenziamento.
Considerazioni finali. Note sulla tutela reintegratoria o indennitaria del lavoratore illegittimamente licenziato su patto di prova nullo di un contratto a tempo indeterminato.
La Corte ha, qui, deciso confermando l’orientamento pacifico in tema del requisito della determinazione e/o determinabilità della mansione da soddisfarsi ai fini della validità del patto di prova.
Tuttavia, in difformità a questo orientamento, vi sarebbe una sentenza della Cassazione, fortunatamente isolata, secondo la quale, invece, il suddetto requisito sarebbe soddisfatto con il rinvio alla sola categoria lavorativa del CCNL (nel ns. caso, il V livello) e non al profilo professionale (nel ns. caso uno dei 28 del V livello), poiché ciò permetterebbe l’assegnazione del lavoratore ad uno dei plurimi profili professionali declinati nel CCNL consentendo maggiori opportunità di impiego in azienda.
Questa pronuncia è stata criticata successivamente dalla stessa Corte che ne ha sottolineato la poca coerenza con la causa del patto di prova, la cui funzione, ovvero la cui ragione secondo il comune interesse delle parti, è sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro: prova e valutazione delle mansioni svolte dal lavoratore e prova da parte del lavoratore nelle mansioni cui è assegnato. Aspetto non di poco conto, specie in tempi di “impiegabilità” o “rotondità” delle competenze e che, comunque, a prescindere, quantomeno almeno sulla carta, sottolineerebbe, il diritto del lavoratore di non scegliere il lavoro in base alle mansioni cui è addetto, o, comunque, di recederne qualora, nella pratica, non dovessero essere considerate idonee o gradite. Sorprese successive a parte, e che, comunque, se del caso, rientrano sotto altra disciplina.
Nel caso in commento, trattandosi di un contratto a tempo determinato, la tutela giuridica della lavoratrice illegittimamente licenziata, ha trovato pacifica soluzione secondo i principi generali di diritto: prosecuzione del rapporto a scadenza e riconoscimento delle mensilità retributive dal
licenziamento.
Qualora, invece, la medesima fattispecie (nullità del patto di prova e licenziamento illegittimo) fosse stata in costanza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, la tutela giuridica sarebbe stata da accertarsi sia in relazione alla dimensione della forza lavoro (aziende> o <15 dipendenti ex art. 18 Statuto dei Lavoratori), che in base alla legge che disciplina le conseguenze del licenziamento illegittimo nel contratto a tempo indeterminato applicabile tempo per tempo.
La disciplina della tutela reale ed obbligatoria del lavoratore indeterminato a seguito della natura del licenziamento, come noto, è stata modificata e risulta, oggi, molto complessa: prima e dopo la L. n.92/2012 (Legge Fornero) nonché l’entrata in vigore sul punto (06/03/2015) del d.lgs. n.23/2015 (Jobs act) che ha ridotto l’ambito di applicazione della tutela reintegratoria. La tutela reale prevede la reintegra del lavoratore sul posto di lavoro oltre indennità fino ad un massimo di 12 mensilità. La tutela obbligatoria prevede il riconoscimento della sola indennità nella misura di legge prevista e graduata a seconda dei casi.
Qualora, quindi, per ipotesi, la lavoratrice avesse sottoscritto un contratto di lavoro a tempo indeterminato, poiché assunta nel 2019, le sarebbe stato applicabile il Jobs act, sotto la cui vigenza risulta controversa in dottrina e giurisprudenza l’applicazione della tutela reale od obbligatoria a seguito della discussa natura e qualificazione giuridica del licenziamento illegittimo su base di patto di prova nullo.
Una parte della giurisprudenza ritiene che questo licenziamento abbia natura disciplinare perché implica una valutazione sulla capacità del lavoratore di adempiere agli obblighi del contratto. Pertanto, trattandosi di licenziamento illegittimo per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, se in presenza di azienda con >15 dipendenti, si applica l’art. 3, comma 2, del D.lgs. n.23/2015 con il riconoscimento della tutela reale di reintegra del lavoratore sul posto di lavoro oltre l’indennità di 12 mesi. Nel caso, invece di azienda <15 dipendenti, si applica l’art. 9 con assenza di reintegra sostituito da un riconoscimento economico e l’indennità dimezzata a 6 mensilità.
Altra parte della giurisprudenza, invece, ritiene che il licenziamento illegittimo su patto di prova nullo non possa equipararsi al licenziamento disciplinare sia perché la legge nulla dice espressamente in merito sia perché il mancato superamento della prova non attiene necessariamente a fatti di rilevo disciplinare. Piuttosto, il licenziamento sarebbe da qualificarsi come illegittimo per violazione del requisito della motivazione (per generica mancanza di motivazione) ed al lavoratore sarebbe applicabile la sola tutela obbligatoria indennitaria ex art. 2, comma 2 della L. n.604/66.
Su questo contrasto di orientamenti giurisprudenziali si attende pronuncia delle Sezione Unite della Corte di Cassazione.
Irene Gazzi